L'akrocheiria era un insieme di tecniche, tipiche del pancrazio dell'antichità classica, e che non raramente fece "disgustare" i lottatori "puri" del passato e gli spettatori di un certo status, era una delle particolarità degli atleti che sfruttavano la potenza pura. L'akrocheiria, da hai akrai cheires, era l'arte di rompere le dita delle mani, e se il termine chéria definisce unicamente le mani, alcune tecniche erano studiate per rompere o disarticolare anche le dita dei piedi.
Il famoso pancrazista Sostrato di Sicione, come ci descrive Pausania, nella sua Periegesi della Grecia, aveva fatto di tali metodi la punta di diamante del suo stile, vincendo non solo tre volte al massimo torneo ad Olimpia, nel 364, 360 e 356 a.C., ma anche due volte ai giochi Pitici a Delfi, dodici volte ad Istmia e a Nemea, venendo perfino raffigurato sulle monete della sua patria terra, la Sicionia; il suo soprannome non potè essere altro che Akrochersites: lo spezzadita. Altri atleti adottarono questi metodi per vincere, come il lottatore Leontisco di Messina, vincitore due volte ad Olimpia, che riusciva a rompere le dita anche durante delle speciali proiezioni al suolo. Artemidoro di Daldi nelle sua Onirocritica ci dice che le tecniche venivano effettuate sia cercando di incrociare le dita dell'avversario, e agendo in seguito con leve di polso, sia agganciando in modo particolare singole dita, ma anche dei piedi, e cercando di forzarle in modo innaturale, per creare un vivido dolore oltre che in certi casi, la rottura delle stesse.
Questi metodi non erano solo patrimonio della pancrazio, ma anche usate nella lotta e tale abilità veniva sviluppata oltre che con la conoscenza tecnica, altresì con l'allenamento dei tendini del polso e delle mani e della loro muscolatura; molti atleti, per esempio, stringevano tra le mani quotidianamente, nei momenti di pausa, dei sacchetti di pelle grezza a forma sferica riempiti di sabbia che sviluppavano una presa potente. Il lottatore più famoso dell'antichità, Milone di Crotone, si dice che usasse i melograni, per allenare la sua "morsa", che rompeva con la forza della sola mano.
Il problema principale di tali attuazioni era sia la presenza ossessiva di olio di oliva, che richiedeva un alta professionalità per effettuare le tecniche, o che l'avversario, se altrettanto potente o abile, poteva fare una ri-leva sulla stessa tecnica e cosi ribaltare l'azione a suo vantaggio. Sta di fatto che quest'arte veniva appresa nelle palestre solo quando l'atleta era già esperto e con una costituzione fisica potente. Il termine akrocheiria o akrocheiris molto versatile veniva usato avvolte anche per indicare una tipologia di sparring leggero durante l'allenamento, o per lo più, per indicare quel sistema di tecniche a vuoto, con l'aiuto della musica del flauto aulos, che è simile all'odierna esecuzione della boxe dell'ombra cioè la shadow boxing del pugilato.